Gastronomia
A Roggiano l’arte culinaria risulta essere semplice e genuina e viene inserita nell'area della dieta mediterranea. Le ricette locali sono ricche dei prodotti dell’agricoltura.
Pregiato risulta essere l’olio d’oliva ricavato dalla tipica pianta detta la “roggianella” lavorato nei frantoi locali.
Tipica è la cottura della pasta arricchita variamente con legumi “lagani o tagliulinu”, sorta di tagliatella senza uovo preparata in casa, il nome è dato dalla larghezza in cui è tagliata, più larga la prima. Anticamente veniva condita con “a pipazza fina” (peperoncino in polvere) oggi con la salsa di pomodoro.
Tra le verdure sono apprezzati i “misc – chiglia” (verdura dalla crescita spontanea raccolta nelle campagne), “vruocculi” (broccoli), “rapi” (rape), le melanzane ed i “pipazzi” (peperoni).
In alcune case è rimasta la tradizione di preparare la domenica la pasta fatta in casa, tipici sono i maccarruni (i fusilli col buco ) preparati con la “cannuccia”, “i rascattiaddri”(gnocchi senza patate) conditi con il sugo di carne di maiale o capra.
Al giorno d’oggi, quasi nessuno si affaccenda a fare il pane in casa cucinato nel forno a legna; in molti, ancora ricordano il profumo che si sentiva uscire dalle case percorrendo le “vineddre” (vicoli) del paese.
La cucina del luogo è fondamentalmente connessa ai prodotti di stagione, anche se si sta iniziando ad impiegare alcuni prodotti della terra coltivati in serre. Consueto è il consumo in estate di peperoni, melanzane, zucchine, pomodori, verdure, fave, piselli, fagioli e fagiolini impiegati per insalate, pasta con il pomodoro fresco, minestroni di verdure e polpette di melanzane.
Radicata è la tradizione di preparare le conserve per l’inverno di pomodori in salsa o pelati, peperoni secchi, melanzane sott’olio “scapicia” o sottaceto, zucchine, ecc.
In inverno si ha abbondanza di pietanze cotte con i legumi secchi conservati o con peperoni e zucchine secche, i cosiddetti “siccatieddri” ed i “pipazzi vruschi” fatti con peperoni secchi, olio d’oliva e sale. Si inizia la cottura soffriggendo l’olio in una grande padella a cui si aggiungono i peperoni. In pochi minuti si dorano e assumono la caratteristica friabilità che li contraddistingue. Se all’olio rimasto dalla cottura si aggiungono le olive nere si ottengono “i riddhri” che si possono gustare insieme ai peperoni.
In questo periodo si allarga la consumazione di carne suina. Si riscontra, infatti, la continuazione della tradizione di preparare i salumi in modo casereccio ed è così che le dispense si riempiono di “sazizza” (salsiccia), “suprissata” (soppressata), “capaccuaddhru” (capicollo), “paccareddhra” (pancetta) “ghielatina” (pezzi di testa e piede del maiale bolliti in acqua e successivamente in aceto) “u grassu” (strutto) e prosciutto. Altra ricetta legata al consumo di carne di maiale è u suffrittu. Si tratta di carne di maiale, peperoni secchi, olive nere, aglio, origano e “pipazza fina” fritti insieme preparato nel giorno in cui avviene l’uccisione del maiale. Dopo aver preparato gli insaccati si ci dedica alla “quadara”, grossa pentola dove si fanno sciogliere i pezzi di grasso del maiale e si fanno cucinare le ossa della spalla e delle gambe e la cotenna. Si ottiene, dopo una lunga e lenta cottura, lo strutto, “i cicugliaddhri” (pezzi di carne insieme al grasso) e “i frittuli” (cotenna). Si gustano, inoltre, le gustose “vrasciole aru grassu” i cui preparati sono: fettine di polpa di maiale, pancetta, aglio, prezzemolo, pepe nero, sale e strutto. Le fettine di maiale devono essere battute e al centro, successivamente, si colloca la pancetta, l’aglio ed il prezzemolo precedentemente tritati. Dopodiché si sala, si arrotola, si mette il pepe nero sopra e si legano con un filo bianco. Si friggono nello strutto.
Tipico è “u baccalà chi piazzi” (baccalà preparato con peperoni e pomodoro, anticamente anche con l’aggiunta di ceci.
Sulle nostre tavole non manca mai il buon vino ricavato dai vigneti locali.
Una manchevolezza della nostra cucina è il limitato consumo di pesce, forse dovuto alla lontananza dal mare.
Nonostante ciò una ricetta tipica di Roggiano sono gli “strascinati cca
muddhrica”, pasta fatta in casa senza il buco condita con filetti di
acciughe e mollica di pane e sugo che anticamente era quello in cui si cucinava
il baccalà che si mangia durante le vigilie natalizie insieme a frittelle varie ed oggigiorno frittura mista di pesce. Rimane in alcune case ancora ala tradizione di cucinare al fuoco del caminetto.
Altra tradizione è la “cuccia” preparata per la festività di Santa Lucia consistente in grano cotto, cucinato condito con miele di fico, cannella, noci, buccia d’arancia e zucchero. Questa ricetta originaria è stata integrata in tempi moderni con l’aggiunta di cioccolata in pezzi e disciolta.
Tra i dolciumi tradizionali ricordiamo: i “sfiziosi” che sono taralli fatti con vino bianco e zucchero ed i “cuddhrurieddhri ‘ccu n’aspro i zuccaru” che sono ciambelle ricoperte con una glassa di zucchero. Tipici del Natale sono “le cassateddhre” fagottini di sfoglia farciti anticamente con la mostarda (marmellata di uva), oggi con nutella, ricotta o marmellate varie, “i scaliddhri” ricavati da un impasto simile alle “cassateddhre” arrotolate su di un bastoncino di legno, fritte e poi ricoperte da zucchero in polvere o, ultimamente, glassate nel miele. “i turdiddhri” sorta di gnocco di pasta dolce preparato con vino bollito con scorza di arancia a cui, ancora caldo, si aggiunge la farina. Lo gnocco dopo essere stato fritto viene glassato nel miele di fico, oggi anche di ape.
Tradizionali di questo periodo
sono i “vissinieddhri” preparati con
pasta lievitata e l’aggiunta di“sarda” (sardine) o patata bollita oppure
semplicemente solo l’impasto fritto.
A Pasqua si preparano i “tortani” dalla forma circolare ed i “ninni” chiamati così per la loro sagoma caratterizzante in un “bambino” realizzati con farina, zucchero e uova inserite per intero come decorazione. Questi dolci vengono in genere mangiati il martedì successivo alla Pasqua nel giorno della "Madonna della Strada".