Personaggi Illustri
Padre Tommaso Cerzito
da Rogiano
Nacque il 24 gennaio 1662 a Roggiano e morì ad Altomonte il 9 febbraio 1739 nel convento dei Padri cappuccini. Fu battezzato come Domenico Fabio e prese il nome di Tommaso in convento. Egli fu padre priore, maestro dei novizi nel convento e grande predicatore. La sua vita era impregnata di bontà, preghiera, virtù ed obbedienza ai suoi superiori. Molte delle sue azioni e opere gridano al miracolo, tanto che alcuni parlano di lui come di un santo. Si tramanda che quando era priore del convento mancasse il pane, ma andando lui stesso alla cassa dove si conservava comparve all’improvviso. In un manoscritto è narrato quando al Padre andarono in sogno delle belle donne che cercavano di indurlo a tentazione. Si svegliò urlando così forte che tutto il convento si radunò nella sua cella per capire cosa fosse successo. Il giorno seguente tale era la sua obbedienza e bontà, che dai rimorsi si mise in preghiera e digiuno. Nello stesso manoscritto sono riportati i documenti che furono inviati a Roma per chiedere l’apertura della sua causa di beatificazione dove sono riportati testimonianze e anche miracoli compiuto da Padre Tommaso. Si legge che Caterina di Altomonte sofferente di un forte dolore al petto tanto da toglierle il fiato, una notte si salvò dal soffocamento mettendo, con immensa fede, un pezzo dell’abito di Padre Tommaso sul petto. Ella guarì immediatamente, il dolore ricompariva nel momento in cui la reliquia veniva discosta. Fu da allora che ella la portò sempre indosso. Un altro lembo di abito del padre guarì una certa Eleonora da una bruciatura alla coscia. L’abito del padre morto in concetto di santità salvò, dopo otto giorni dal suo trapasso, anche una partoriente da morte sicura. La causa di beatificazione non andò avanti per imperizia dei padri religiosi. Negli ultimi cinque anni di vita, Padre Tommaso divenne completamente cieco, ma nonostante tutto continuò a cantare sulle note dell’organo, fino a pochi giorni prima della morte, le lodi alla Vergine Maria. La sua umiltà e povertà lo portò persino ad andare a chiedere l’elemosina per i suoi novizi ed a essere stimato da tutti. Inoltre era di grande conforto per gli infermi a cui applicava medicamenti da lui stesso realizzati.
Gian Vincenzo Gravina
Il più illustre cittadino di Roggiano nacque il 18 febbraio 1664 nella stessa cittadina e morì il 6 gennaio 1718 a Roma. Fu giureconsulto, filosofo e poeta latino e si dedicò allo studio del diritto, del greco e del latino. La sua intelligenza fu precoce e superiore alla norma e i genitori gli permisero di frequentare l’università a Napoli. Fu allievo del professore di letteratura e filosofia Giuseppe Forcella ed in seguito del giurista cosentino Serafino Biscardi. Accolto in varie accademie napoletane conobbe molti uomini rinomati. Nel 1689 partì alla volta di Roma come segretario del cardinale Pignatelli dove fu ospite di Paolo Coardi. Il 5 ottobre 1690 fu uno dei fondatori dell’Accademia dell’ “Arcadia” e ne scrisse le Dodici Tavole in latino. Essendo, però, per lui non esauriente l’indirizzo letterario, se ne distaccò per poi gettare le fondamenta dell’ “Accademia dei Quirini”. Scrisse varie opere importanti tra cui ricordiamo: “Hydra Mystica suve de corrupta morali doctrina” nel 1691, in cui il Gravina parla dei pericoli che si possono incontrare nella casistica del protestantesimo; “Specimen Prisci Juris” del 1697 in cui si notano le sue capacità giuridiche; “De conversione Doctrinarum” epistola scritta ad Emanuele Reginari in cui compiange l’Italia ormai discesa allo stato di barbarie pur essendo patria della letteratura; “De ortu et progressu juris civilis” del 1701, primo libro dell’opera “Originum Juris civilis libri tres”, che fu stampata a Lipsia nel 1708 per poi essere adoperato nelle università tedesche; “Ragion poetica” del 1708, che fu la sua opera più importante, a tal punto da essere lodato dallo stesso Ugo Foscolo; “De Instauratione studiorum”, del 1712 in cui discute il metodo sugli studi. Le sue opere, su taluni aspetti, anticipano in parte le idee Montesquieu e Rosseau. Nel 1699 ottenne la cattedra all’università di diritto civile per poi passare a quella di diritto canonico nel 1703. Poco dopo gli fu dato il compito di spiegare il “Decreto di Graziano”. Nel 1710 conobbe un ragazzo di notevole intelligenza, tale Pietro Trapassi. Egli lo prende come suo discepolo e gli cambia il nome nel latino Metastasio famoso poeta italiano. Alla memoria del suo maestro scrisse “La strada della gloria” che fu letta alla sua ammissione all’Accademia dell’Arcadia. L’unica volta in cui il Gravina tornò a Roggiano fu nel 1714, quando morì il Maestro Caloprese. Egli non vi tornò mai più e ne mai fece accenno nelle sue opere alla sua patria. Nel 1717 Vittorio Amedeo II di Savoia gli fece l'offerta di trasferirsi a Torino conferendogli la carica di direttore generale degli studi universitari. Alla sua partenza, però, fu colpito da forti dolori allo stomaco da essere costretto a rinunciare all’incarico. L’anno dopo morì e fu sepolto nel cimitero di San Biagio della Pagnotta in via Giulia a Roma senza alcuna lapide. Ciò ha portato alla perdita della sua tomba. Fu solo nel 1864 che con un decreto comunale si decise di aggiungere al nome Rogiano Gravina in suo onore. Negli scorsi anni il “Centro Studi Gianvincenzo Gravina” in collaborazione con il docente Ilario Principe dell’Università degli Studi della Calabria hanno messo giù l’idea di un film sull’illustre cittadino roggianese. Si è a conoscenza della sceneggiatura di Paola Ancarani che informa gli ipotetici spettatori dei tratti fondamentali del giureconsulto. Il progetto risulta ancora inattuato.
Antonio Gaetano Domenico Gravina
Fratello più giovane di Gian Vincenzo nacque a Roggiano il 16 gennaio 1668 e morì a Somma il 1711. Iniziò i suoi studi insieme al fratello. A 27 anni divenne prete. Nel 1708, grazie alla sua bravura nello studio della Storia Ecclesiastica e alla cognizione delle discipline Canoniche e Teologiche, divenne “avvocato fiscale della visita” per la nomina ricevuta dall’arcivescovo di Napoli. In seguito si sentì stanco dei suoi colleghi e delle loro limitate vedute e lasciò tutto per recarsi dal vescovo di Nola suo carissimo amico. Egli, per onorare la conoscenza del suo amico, concesse al Gravina l’abbazia curata di Brusciano. Fu molto attento alla cura delle anime specie i poveri e gli ammalati. Fu anche un religioso dalle grandi capacità predicatorie. Nel 1711 fu colto nella città di Somma da una violentissima febbre che lo portò alla morte. Il vescovo lo fece seppellire presso l’altare maggiore della Chiesa Colleggiata di Somma.
Stefano Paladino
Nacque il 4 giugno 1812 a
Roggiano e morì il 19 gennaio 1895 a Napoli. Fu un ragazzino dall’intelligenza
precoce e lodato dal suo maestro e zio l’arciprete don Gaetano De Vito che
anche sostenne la sua vocazione al sacerdozio. Entrato in seminario a San Marco
Argentano, ebbe come maestro di latino don Gregorio da Policastrello. In
seguito si spostò a Cassano dove si dedicò all'apprendimento della storia,
della filosofia, della matematica, del greco e della lingua italiana. Si laureò
in lettere e filosofia a Napoli e qui si dedicò all'apprendimento anche
dell’inglese. Quando ritornò in Calabria
divenne prete sotto la benedizione del vescovo Felice Greco che lo nominò anche
professore del seminario dove aveva iniziato a studiare. Fu un insegnante molto
premuroso verso i suoi allievi. Nel 1843 ritorna a Napoli per insegnare,
inizialmente Lettere al “Real Colleggio dell’Annunziatella”, in seguito Storia
e Lingue in una scuola tecnica. In seguito insegnò nell’istituto Casanova di
cui ne fu anche il benefattore. Si mostrò uno scrittore dalle indubbie
capacità. Nel 1876 pubblicò l’opera “Robin
Hood, vecchie ballate popolari” e nel 1885 “Odi e ballate”. In più
scrisse per un giornale dell’epoca una biografia di Gian Vincenzo Gravina ed
una monografia su San Marco Argentano.
Angelo Maria Mazzia
Il Mazzia nacque a Roggiano il 7 ottobre 1823. Studiò nel seminario di San Marco Argentano, in seguito partì per Napoli dove continuò gli studi nell’Accademia delle Belle Arti. Divenne assistente di Raffaele Postiglione insieme a Gabriele Morelli, ottenendo la medaglia d’argento alla mostra nel 1845 e quella piccola d’oro nel 1855. Fu anche insegnante e nel 1879 pubblicò “Sull’insegnamento elementare del disegno”. Nel 1847 Federico Balsano gli commissionò un ritratto di Gian Vincenzo Gravina, oggi ammirabile nella sala comunale. Probabilmente si può datare allo stesso anno il ritratto di Ferdinando Balsano, oggi in pessime condizioni e di proprietà della famiglia Limido. Dai suoi vecchi maestri trasse l’ispirazione per le sue prime opere “Omero al sepolcro di Ettore” e “San Sebastiano dopo il primo martirio”. Altri quadri di stampo religioso furono “L’Assunta” e “Santa Cristina scoperta dal padre mentre dispensa ai poveri gli idoli d’oro infranti” con cui vinse una medaglia d’oro nel 1859 alla mostra di Napoli. Subito dopo transitò verso uno stile romantico con “La vergine delle Catacombe”, conservata nella pinacoteca di Capodimonte e “Carlo V e Clemente VII a Bologna”. Nello stesso periodo nacque il suo amore per Dante, autore della Commedia. Da qui nacque la sua ispirazione per uno dei suoi quadri più famosi: “Dante che dalla luce guarda Roma nelle tenebre”, che incontrò subito molte simpatie. In un altro ritratto famoso dipinto dal Mazzia fu quello di Costanzo Angelici del 1854. Il suo busto si trova nella sala comunale.
Ferdinando BAlsano
Balsano nacque il 18 settembre 1826 a Roggiano e morì, purtroppo, assassinato il 7 novembre 1869 a Cosenza. Fu filosofo, scrittore e letterato. I genitori furono i suoi primi maestri nell’insegnamento della virtù cristiana, della bontà, dell’amore, della castità e dell’onestà. Fu un grande erudito il cui obiettivo era quello di saper portare i giovani sulla strada del dovere, dell’onore e dell’autodisciplina. Studiò a Cassano sotto la guida del Professor Francesco La Terza e del maestro Gregorio di Policastrello. In seguito si istruì con la critica letteraria e la storia civile. Nel 1847, iniziò a studiare sotto le direttive del teologo e zio materno Coppola la teologia. Nel 1852 divenne sacerdote consacrandosi al nobile Sacramento. L’8 dicembre 1856 fu nominato arciprete di Roggiano. Nel 1862 fu eletto rettore del seminario di San Marco Argentano. Nel 1866 si dimise per divenire il preside del liceo di Matera. Fu scelto come primo deputato del parlamento italiano, ma per irregolarità fu destituito dalla Camera l’anno seguente. La sua fama si diffuse anche a Matera e Campobasso dove infuse la cultura calabrese. Nel 1868, infatti, fu nominato preside del liceo di Campobasso. La sua salute cagionevole non rese possibile il suo soggiorno nella città e alla fine del 1868 fu nominato preside del liceo di Cosenza, ma l’anno seguente un bidello del “Telesio” lo ferì a morte con un coltello. Tra i suoi scritti si ricordano: “Discorso a san Francesco di Paola” del 1861; “La Divina Commedia giudicata da Gian Vincenzo Gravina” del 1864; “Religione e Patria” del 1866. Le sue ultime parole proferite al padre spirituale del liceo Saverio Galbi furono: “Vi raccomando i giovani”.
Luca Iaconianni
Nacque a Roggiano il 25 aprile 1851. Suo primo maestro fu lo zio materno e arciprete di Roggiano don Luca Muti. Finì gli studi privatamente e li migliorò in Toscana. Fu nominato professore della cattedra di Scienze Umanistiche a Roma. Tra i suoi scritti ricordiamo: “Sviste ed inesattezze del Carducci su Dante del 1888; “Il Caronte di Dante paragonato con Caronte di Virgilio e con quello di un altro autore moderno ecc.” sempre del 1888; “Lezioni pratiche di lingua italiana” del 1890; “Saggio della lingua dell’ira” del 1889; Del concetto della critica della Ragion Pura”.
Vittorio CAravelli
Nacque il 23 agosto 1860 e fu assassinato, forse per questioni amorose, a Firenze il 1893. Fu poeta e commediografo. Suo zio materno era Stefano Paladino. Si diplomò al liceo classico per poi laurearsi a Napoli in Lettere e Filosofia. Fu insegnante al liceo “Galileo Galilei” di Casoria e al liceo “Cicognini” di Parto. Scrisse: “Versi” nel 1883; l’articolo “Una variante calabrese della rappresentazione (i dodici mesi)” sempre nel 1883; “Le traduzioni drammatiche popolari” nel 1884; l’articolo “Presepi, Pastori, Muse” nel 1886; “chiacchiere critiche” nel 1889 come “Un’altra parola sulla pirateria di Farncesco Mango”; “Il Rinascimento in relazione col commercio nel Medioevo” nel 1891; “Monologo su Dante Alighieri” nel 1893. L’opera più famosa risulta essere la critica su “Pirro Schettini e l’antimarinismo”.
Ferruccio Incutti
Nacque il 26 novembre 1898 a Roggiano. Studiò al liceo classico per poi conseguire la laurea in Lettere nel 1931 all’Accademia Scientifico – Letteraria di Milano. Insegnò Lettere Italiane e Latine dal 1924 al 1934. In seguito fu preside nei licei di Rovigo, Voghera e Salerno. Dopo tale periodo fu nominato Provveditore agli studi di Pavia. Fu ufficiale durante la Prima Guerra Mondiale e decorato con la croce di guerra. Fu designato Cavaliere della Corona d’Italia e Cavaliere di Vittorio Veneto con assegno annuale. I suoi scritti più importanti sono: “Dizionario Latino – Italiano e Italiano – Latino”, “C. Crispi Sallusti, Catilinae coniuratio”, “Catalepton” antologia latina per le scuole, “Manuale di prosodia e metrica latina”, “Canti d’amore del popolo calabrese” e “Dictiones Dantis Salernitanae”. Scrisse anche un Inno agli Scolari d’Italia con musica di Nicola Orlando. Altri suoi articoli sono sparsi su pubblicazioni settimanali e periodiche.
Mario Battendieri
Nacque a Roggiano il 14 marzo 1905 e morì a Cosenza il 23 luglio 1972 per poi essere seppellito nella cappella di famiglia nel cimitero roggianese. Fu pittore e fin dagli otto anni mostrò una forte propensione verso la pittura. Studiò arte a Lungro presso Camillo Vaccaio per tre anni fino a quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale e contrasse “la Spagnola”. Ne guarì ed in seguito fu inviato a studiare con il fratello Remo a San Demetrio Corone al collegio di San Adriano per cinque anni. La passione per la pittura era però ostacolata dal padre che, promettendo al figlio lo studio della disciplina dopo il diploma, deluse il figlio non mantenendo la parola data. In seguito continuò gli studi in un collegio privato a Stilo. Deluso dalla non comprensione del padre smise di studiare facendosi appositamente bocciare. Fu così che il genitore si convinse a dargli carta libera nell’apprendimento della pittura che acquisì a Napoli dove si trasferì nel 1928. Il suo primo maestro fu Volpe poi supplito dal pittore Biondi. Per i successivi tre anni fu suo insegnante Carlo Siviero. Al quarto anno il suo maestro espresse il volere di fargli ripetere l’anno per poterlo far rimanere con lui e i suoi compagni ma il Battendieri non accettò. Subito dopo il diploma gli fu commissionato il ritratto della moglie del console degli Stati Uniti, la signora Homser. Il consiglio del suo maestro fu però quello di lasciare questo tipo di lavori e di tornare nella sua terra. Fu uno sbaglio perché non riuscì nuovamente ad essere compreso dai suoi genitori. A Roggiano lavorò poco, ma riuscì a guadagnare una piccola somma con una mostra a Cosenza. Dopodiché partì con un medico alla volta del Brasile. Qui gli fu commissionato qualche ritratto e qualche quadro tra cui un nudo di donna e il ritratto della signora Amaral, ma decise di tornare in Italia ed in seguito in Calabria. In questo momento ebbe una crisi artistica che finì quando un quadro,scarsamente considerato dallo stesso artista, fu inviato alla mostra di Sanremo ed accettato. Dopo la Seconda Guerra Mondiale si diede all’insegnamento a Cosenza. Oltre che pittore fu anche un restauratore, infatti, lavorò sulla Madonna delle Armi in Cerchiara di Calabria e alla Chiesa del Convento dei frati minori di San Marco Argentano.
Francesco ettore
Nacque a Roggiano verso il 1535 e morì il 1605. Gli fu dato come nome di battesimo Francesco per poi prendere nel convento domenicano quello di Giovan Domenico. Era portato verso lo studio della teologia e fu per questo che il vescovo di San Marco Argentano, Fabrizio Landriano, lo volle con sé al concilio di Trento. Qui conobbe San Carlo Borromeo che lo portò a Milano dove si valse della sua consulenza durante i lavori del Concilio. In seguito fu nominato Vicario Generale della Diocesi di Brescia. Nel 1604 divenne vescovo della diocesi di Ostini, dove cercò di erigere un seminario. Morì prima di vedere realizzata la sua opera, un anno prima che San Carlo Borromeo fosse canonizzato.
Gian Domenico rogliano
Nacque a Roggiano il 1566 non se ne conosce la data di morte. Si laureò in Medicina a Napoli per poi tornare a Roggiano dove esercitò la professione e integrò i suoi studi con la filosofia. In particolare si appassionò al pensiero telesiano e fu amico di Tommaso Campanella. Quando Campanella, per le sue idee anti – aristoteliche fu segregato nel convento di Altomonte fu grazie al convincimento di Gian Domenico che il filosofo si decise a scrivere “La città del sole”. L’amicizia con Campanella portò la Chiesa ad accusare il Rogliano per eresia e fu costretto a rilasciare una forte somma di denari per potersi salvare. Dopo questa esperienza scrisse molte opere in difesa della religione.
Guido Limido
Nacque a Roggiano il 18 gennaio 1910 e fu battezzato a sedici anni e da allora iniziò il suo cammino evangelico. Morì il 27 agosto del 1988 a Roma. In giovane età, nonostante la sua indole artistica, lavorò come falegname, decoratore ed elettricista. Studiò presso l’Accademia delle Belle Arti specializzandosi nella pittura. Nel 1937 si trasferì nella capitale lavorando come disegnatore al Genio Civile di Roma. Ebbe anche mansioni di architetto e progettò chiese, canoniche e case di spiritualità in tutta Italia gratuitamente. Divenne in seguito Ministro straordinario dell’Eucarestia. Moltissimi nella capitale si recavano da lui per preghiere e consigli. Guido Limido fu pittore, ma non esiste un catalogo vero e proprio né un inventario delle sue opere. Ciò che si è potuto constatare è che molte delle sue opere si trovano in possesso dei suoi eredi, un’altra parte fu donata da lui ad amici, molte altre si trovano nella sua residenza romana e solo una sua tela sembrerebbe essere stata venduta. Il Centro Studi “Gianvincenzo Gravina” ha di cercato di analizzare la sua arte e la definendola “espressione della sua grande umanità”. Condusse una vita umile improntata sulla carità e la fede; da qui nasce l’idea di Guido Limido “di un mondo dell’uomo e di Dio” espressa nella sua pittura. Il suo spirito religioso diede vita ad una sorta di Neorealismo che lo fece giungere alla supremazia sulla realtà, la materia e all’espressione attraverso l’astrattismo in cui si sviluppa una luce innaturale. Attraverso di essa egli voleva comunicare la luminosa presenza di Dio e l’inferiorità della materia. Nelle sue opere l’artista usa la tecnica dell’acquerello e dei disegni dove dimostra padronanza del Cubismo e del Futurismo insieme alle scuole di Mirò e Mondrian. Specifici della sua arte furono le vedute paesaggistiche. Portò la sua tela “La casa degli umili” alla sesta Mostra quadriennale di Roma. In questa opera, raffigurante la sua semplice casa natale, è messa in risalto la sua forte interiorità. Ciò portò la critica a considerarlo uno dei migliori pittori della Mostra. La sua vita può essere racchiusa in tre parole: Fede, Arte ed Apostolato. La sua salma è tumulata a Roma per richiesta della sua comunità parrocchiale di Sant’Ippolito nella capitale.