SITO ARCHEOLOGICO

Cozzo la Torre

In località “Cozzo la Torre” in agro di Torano Castello, è stato segnalato dal prof. Ottavio Cavalcanti nel 1963 alla Soprintendenza alle Antichità della Calabria un sito contenente materiale archeologico. In esso si notava l’esistenza di due aree corrispondenti rispettivamente a una necropoli ed a un centro abitato della prima età del ferro con una successione culturale che si estende fino ad un età ellenistica ciò supportata da ritrovamenti causali prima e successivamente confermata dagli scavi svolti. I primi studiosi che si occuparono della nascita e della storia di Torano sono il Barrio e il Marafioti, i quali ci riportano la notizia che l’antica Dampetia, citata da Livio era tra le città che ristabilirono normali rapporti con i romani dopo l’avventura di Annibale e che i primi abitanti del sito vengono ricondotti agli Enotri ai quali successero i Bruzi. Le fonti sono numerevoli ma non confermate da dati certi e riscontrabili, infatti ci mancano gli elementi in base ai quali gli autori successivi abbiano stabilito il collegamento Torano-Dampetia, o Clampetia. Saremmo quindi portati a trincerarci dioetro una posizione di legittimo scetticismo considerando la consolidata tradizione letteraria come uno dei frequenti casi di passivo riporto di notizie da uno scrittore all’altro; ma il giudizio sarebbe superficiale perché a ben considerarle le testimonianze differiscono per notizie e fonti. Ricomporrendo le notizie riportate dai vari autori si otterrebbero questi risultati: Torano è la Dampezia di cui parla Livio, o la Clampezia di cui parlano Polibio e Plinio. Fondata dagli Entri fu successivamente ingrandita ed abitata dai Bruzi. Alleata di Annibale durante la seconda guerra punica ritornò all’amicizia dei Romani assieme a molte altre città e paesi, quali Cosenza, Uffugo ecc. Non esisteva più, perché probabilmente distrutta, ai tempi di Plinio. Queste finora le conclusione dedotte dalla lettura delle fonti scritte, alle quali dobbiamo cercare riscontro attraverso la documentazione archeologica.
Dopo la segnalazione fatta nel ’63 da parte del prof. Cavalcanti ci fu un sopraluogo effettuato dal soprintendente G. Foti nel ’64, dove si decise per una campagna di scavi da parte della soprintendenza per l’anno successivo affidata alla professoressa Juliette De la Genière, nota specialista di protostoria italica. Lo scavo si protrasse dal 16 al 30 novembre 1965 e consenti’ di portare alla luce 13 tombe quasi tutte dell’VIII sec. a.C. situate in due zone battezzate per comodità con le prime due lettere dell’alfabeto. I risultati dello scavo furono i seguenti:

I) Tomba AI: situata a circa 20 cm dal piano di calpestio era ricoperta da pietre irregolari disposte a cumulo e circondata da blocchi, nonché da una lastra disposta verticalmente nella parte superiore. Del cadavere erano rimasti pochi frammenti. Il corredo funebre comprendeva: N. 7 fibule ad arco serpeggiante; diversi frammenti di un’olla di impasto.

II) Tomba A2: dello stesso tipo della precedente, perché coperta e contornata da grosse pietre. Nell’interno si trovavano: un’olla, una tazza monoansata, numerose catenelle costituite da gruppi di anellini infilati l’uno nell’altro, un aperla d’ambr, N.5 perla mdi collana costitute da un filo di bronzo avvolto a forma di cilindro, N.6 di fibule ad arco serpeggiante, una perla probabilmente di pasta vitrea, un frammento di ferro;

III) Tomba A3: della stessa tipologia di quella precedente. Il corredo era costituito da un vaso biconico di impasto a due manici, un attingitoio sempre d’impasto, un frammento di fibula bronzea;

IV) Tomba BI: ha le stesse caratteristiche delle precedenti, fatta eccezione per numerosi frammenti di un grosso pithos associati alle pietre,. E d a una spessa lastra di copertura. Conteneva: frammenti di ossa, bottoncini di bronzo, frammenti di lamina enea, N.2 attingiatoi, frammenti di un vaso, abbondante materiale di bronzo e d’ambra e ferro, un gran numero di pendenti a forma di coppia. Era orientata NO-SE;

V) Tomba B2: conserva diverse ossa nonché frammenti di un vaso d’impasto bruno-rossiccio, una cuspide di lancia in prossimità del cranio del defunto, N.3 di fibule ad arco serpeggiante.

VI) Tomba B3: del tipo a cappuccina, formata, quindi, dai tipici tegoloni. Furono rinvenuti anche diversi frammenti di vasetti d’argilla grigia e d’impasto;

VII) Tomba B4: conteneva perline d’ambra e d’osso in prossimità del cranio fibule, frammenti di un coltello di ferro, frammenti di un’olla d’impasto.

VIII) Tomba B5: Il corredo era costituito da: frammenti di diversi vasi, anellini di bronzo, una piccola perla di eneo a spirale, un rasoio di bronzo, una cuspide di lancia in ferro.

IX) Tomba B6: affiancata alla precedente dalla quale non si distingueva tipologicamente, conteneva: un vaso biconico di argilla, anelli di bronzo e ferro, frammenti di un nastro di ferro, bobine d’impasto, frammenti di un vaso e di un attingitoio, entrambi d’impasto;

X) Tomba B7: sconvolta dalla sovrapposizione della B3 risultava priva di resti umani; ma conteneva: fibule ad arco serpeggiante, un vaso schiacciato.

XI) Tomba B8: Restitui’: frammenti di un’olla d’impasto, un coltello di ferro, fibule ad arco serpeggiante, una cuspide di lancia.

XII) Tomba B9: in pessime condizioni era segnata soltanto da una doppia fila di grosse pietre.

XIII) Tomba B10: sepoltura di modeste proporzioni, probabilmente di un bambino.

L’interpretazione e la valutazione dei dati dello scavo sono contenute in un volume della De la Geniere che raccoglie i risultati del suo lavoro nell’Italia meridionale. Essa conclude sostenendo che la maggior parte del materiale non presenta caratteri di originalità (il collegamento coi monili delle coeve necropoli di Castiglione di Paludi, Torre Mordillo e Francavilla Marittima ne fa fede); ma nello stesso tempo la De la Geniere mette in evidenza un eccezionale monile costituito da sei fibule a quattro spirali poste l’una accanto all’altra, e di alcuni pendenti a forma di coppia rinvenuti in cinque esemplari nella tomba BI. A proposito di questi ultimi l’autrice precisa che in realtà essi sono molto diffusi in Calabria e Sicilia orientale, ma che fino alla scoperta degli esemplari di Torano non era ben chiaro cosa rappresentassero; mentre ora non vi è più dubbio alcuno che trattasi di un uomo e una donna. Le soluzione prospettate in definitiva si riducono a due: una tendente a sceverarne il probabile significato simbolico, l’altra a metterne in luce il valore puramente decorativo. La De la Geniere commenta avanzando l’ipotesi che i monili abbiano avuto per gli indigeni di Torre Mordillo o Torano un valore puramente decorativo e che il loro originale significato simbolico si sia progressivamente trasformato o perduto. Dopo il successo della campagna di scavo del ’65 la Soprintendenza alla Antichità ne programmò una seconda per il ’66. Lo scavo non venne più ripreso. Si erano effettuati sondaggi nella zona dell’abitato ed era stato portato alla luce un breve tratto di muro. Si erano inoltre rinvenute notevoli testimonianze relative a costruzioni del IV-III sec.a.C. Tutto questo assume un significato notevole nell’ambito dell’archeologia calabrese in quanto oggi si dà un importanza maggiore allo studio delle popolazioni preelleniche. Non a caso gli scavi più interessanti effettuati negli ultimi anni, oltre quelli di Sibari, sono relativi agli insediamenti preistorici e protostorici. Il fatto di eccezionale interesse è costituito da una cultura uniformemente stratificata, di cui restano abbondanti tracce nelle necropoli calabresi diffuse dai confini con la Lucania allo stretto di Messina. In provincia di Cosenza troviamo infatti le zone archeologiche di Amendolara, Castiglione di Paludi, Francavilla, Serra Aiello, Serra Catsello, Torano, Bisognano, Torre Mordillo; in provincia di Catanzaro quelle di Cirò, Casabona, Troppa, Torre Galli, Nicotera; in provincia di Reggio: Canale, Ianchina, Cannitello, Castellace, Reggio, Santo Stefano, Sant’Onofrio. Questo sommario elenco rende manifesta l’importanza assunta dagli scavi effettuati in provincia di Cosenza, di gran lunga la più interessante per l’abbondanza di reperti e le numerose aree già in parte sondate. L’estrema regione della penisola fu abitata in maniera episodica lungo le coste e sui monti, nelle adiacenze delle stesse, sin dall’età paleolitica, più intensamente in età neolitica e nell’età dei metalli. Della prima età del ferro notevoli sono gli insediamenti nella zona di Sibari, da Serra Castello a Francavilla, da Torre Mordillo a Torano, nonché quelli della zona di Locri, Torre Galli, S. Onofrio e Canale Ianchina. Gli inizi di insediamenti sono databili approssimativamente attorno al X sec. a.C. Le popolazioni residenti in Calabria nella prima età del ferro erano di stirpe mediterranea e conoscevano già l’uso del ferro. Le fonti storico –letterarie parlano di Musoni, Coni, Entri, Itali e Siculi, ma l’unica cosa è che appartenevano ad un unico ceppo italico. Per quanto riguarda la cronologia, le stazioni indigene che occupavano le alture a sud-ovest di Sibari, vale a dire Torre Mordillo, Castiglione di Paludi e Torano, vanno datate all’VIII sec. a.C., ed in esse, fatta eccezione per Francavilla ed Amendolara, sembra che la vita si fermi proprio verso la fine del secolo. La vita di questi centri indigeni sembra fermarsi in concomitanza con l afondazione delle colonie greche nel nostro caso con la fondazione di Sibari e nei nostri centri la vita riprende rigogliosa anche a Torano, in età ellenistica, come dimostrano tombe dell’epoca sovrapposte alle più antiche, ed il sondaggio effettuato nell’abitato nel corso della campagna di scavo del 1967. Questi elementi ci hanno spinto ad avanzare l’ipotesi che la zona archeologica di Torano corrisponda al sito della Pandosia bruzia il cui nome è legato alla sconfitta ed alla morta di Alessandro il Molosso, di cui è notizia in Stradone e Tito Livio. Non neghiamo che l’ipotesi del ritrovamento della città sotto le cui mura si consumò, con la morte del Molosso, il tentativo della riscossa dei Greci italioti contro gli Italici ormai in rivolta ci ha affascinati per lungo tempo; ma i dati della ricognizione archeologica annullano ogni possibilità di equivoci. Oltretutto non va dimenticato quello già assodato dalla ricerca archeologica dove si evidenzia che la vita a Torano si ferma alla fine dell’VIII sec. a.C. per riprendere soltanto in età ellenistica. Questo solo dato è sufficiente per eliminare ogni fantasia in merito al rinvenimento della Pandosia brucia. Scartata l’ipotesi che possa trattarsi di una vera e propria città, per l’esistenza della quale mancano fondati elementi, restano due soluzioni: quella di una serie di fattorie collegate e quella di una cinta fortificata, con una modesta organizzazione urbana, nella quale all’occorrenza trovavano rifugio le popolazioni della pianura. La prima ipotesi sembra la più probabile.